L'Unione Africana ribadisce la sua opposizione a qualsiasi ingerenza straniera nel conflitto sudanese
L'Unione Africana ha ribadito lunedì il suo categorico rifiuto di qualsiasi forma di ingerenza negli affari interni del Sudan, precipitato dall'aprile 2023 in una sanguinosa guerra tra l'esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di supporto rapido (RSF) guidate dal suo ex vice Mohamed Hamdan Daglo, noto come "Hemedti".
La dichiarazione giunge in un momento di forte tensione diplomatica, dopo che il governo sudanese, alleato con l'esercito, ha annunciato la rottura delle relazioni con gli Emirati Arabi Uniti, accusando questi ultimi di fornire armi sofisticate alle RSF. Un'accusa che gli Emirati hanno formalmente smentito, nonostante diversi rapporti di esperti delle Nazioni Unite, di organizzazioni internazionali e di funzionari americani abbiano evidenziato elementi che la indicherebbero.
In una conferenza stampa ad Addis Abeba, il presidente della Commissione dell'Unione Africana, Mahmoud Ali Youssouf, ha affermato che il Sudan, in quanto Stato membro sovrano dell'Unione, deve essere rispettato nella sua autonomia politica. Ha chiarito: "La Commissione non sosterrà alcuna iniziativa volta a intervenire nella crisi in Sudan". Interrogato sul presunto coinvolgimento degli Emirati, il diplomatico gibutiano ha evitato di commentare direttamente, ricordando che non era compito dell'Unione Africana confermare tali accuse, aggiungendo che "spetta al Sudan presentare le prove necessarie".
Il conflitto ha diviso il territorio sudanese in due campi: l'esercito controlla il centro, l'est, il nord del paese e gran parte di Khartoum, mentre la RSF domina la regione del Darfur e le aree a sud. Di recente, attacchi con droni attribuiti alle RSF hanno preso di mira aree sensibili a Port Sudan, sede temporanea del governo e punto di ripiego per missioni diplomatiche e umanitarie dall'inizio della guerra.
Il bilancio umano di questo conflitto è tragico: decine di migliaia di morti, quasi 13 milioni di sfollati e una crisi umanitaria definita dalle Nazioni Unite una delle più gravi al mondo, in un Paese di circa 50 milioni di abitanti.
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